Manifesto Neoumanista Romano

Cosa Non è Roma
Roma non è fascismo.
Chi ha sfruttato l'immagine e la storia di Roma per promuovere il fascismo non ha fatto i conti con la punizione che giustamente gli riserva quest'azione.
Roma non è revisionismo storico.
Non si vuole in alcun modo giustificare gli atti meschini che furono compiuti nel corso della sua esistenza, ma soltanto contestualizzarli storicamente.
Ad esempio, lo schiavismo tanto denunciato da certi storici e da certi prodotti culturali è sicuramente un atto riprovevole visto con gli occhi dei nostri giorni.
All'epoca, però, erano ben poche le società che non si avvalevano di schiavi e sicuramente con meno diritti di quelli romani.
Roma non è rievocazione o nostalgia.
Nessuno vuole tornare a gareggiare con le bighe, né a vestire con tuniche e sandali. Si parla di concetti, di valori, pur comunque preservando certi tratti identitari (vedi voce "Identità").
Roma non è imperialismo.
Pur rivendicando il diritto ad essere uno Stato e il diritto a governare nuovamente sulla città di Roma, non abbiamo alcun interesse a conquistare ed occupare territori per scopi economici e politici.
Roma non è etnocentrismo.
Non vogliamo in alcun modo affermare la superiorità della cultura romana sulle altre culture.
Vogliamo che la cultura romana venga giustamente valorizzata e intesa come alternativa al declino sociale ed umano che ci circonda.
Cosa È Roma
“Madre comune d’ogni popolo è Roma e nel suo grembo accoglie ognun che brama farsi parte di lei. Gli amici onora; perdona i vinti; e con virtù sublime gli oppressi esalta ed i superbi opprime.”
Roma orma amor.
Roma è un gesto di ribellione contro il potere costituito, un gesto d’amore verso chi è umano e non si vergogna di esserlo, un’impronta inscalfibile dalla nostra storia e dalle nostre culture.
Quasi duemila e ottocento anni fa, un uomo, si dice figlio di un dio, metta fine alla vita di suo fratello.
Un gesto che oggi giudichiamo orribile, ma dall’altissimo valore simbolico: Roma era affare sacro e nessuno poteva permettersi di prendersene gioco, nemmeno la persona con cui abbiamo condiviso l’intera vita.
Sicuramente al tempo la percezione del sacro era qualcosa di molto più sentito e incomprensibile per noi, ma la sacralità di cui parliamo andava ben oltre il tema religioso.
La fondazione di quella città era stata concessa dal Re di Albalonga Numitore, come premio per aver deposto un despota, usurpatore e tiranno di nome Amulio.
Egli era proprio lo zio di Romolo e Remo e ne aveva decretato la condanna a morte insieme alla madre, investita a forza di una castità sacra che non le apparteneva, successivamente violata con il dio Marte.
Roma è quindi un gesto di ribellione verso la tirannia, verso i despoti che prendono il potere con la forza.
Ribellione che sarà poi ripresa da Marco Giunio Bruto, contro la tirannia di Tarquinio il Superbo, l’ultimo Re.
E chi sono i primi abitanti di quella città fondata col sangue degli ingiusti? Schiavi, esuli, briganti provenienti dalle città limitrofe. Romolo fu l’istitutore del concetto moderno di asilo politico.
Ma Roma non è solo questo
Roma è anche il rispetto e l’accettazione della spiritualità degli altri. A partire da Numa Pompilio c’è sempre stata un’apertura moderata verso tutte le religioni, anche quelle più distanti.
Ma Roma è soprattutto humanitas. Il riconoscimento dell’uomo come fratello, alleato, concittadino da comprendere in toto, nonché il riconoscimento del proprio essere umani.
Roma è giustizia, come lo sforzo attuato per garantirla istituendo un sistema giudiziario che è alla base di quello moderno. Secondo gli antichi, infatti, prima del tempo moderno gli uomini vivevano senza conoscere guerra, malattia o carestia ed erano guidate da Giustizia, una delle ore, figlia di Crono. Quando l’uomo iniziò a degenerare, lei fuggì piangendo e rifugiandosi tra le stelle.
Roma è universale. Non conosce confini, né ideali né reali. Basta soltanto accettarla e farne propri i valori.
L'Uomo al centro: un nuovo Rinascimento
“Sono un uomo, nulla di ciò che è umano mi è estraneo”
“[Come Marco,] La mia patria è Roma, ma come uomo, è il mondo”
Publio Terenzio Afro era un giovane schiavo berbero cartaginese. Il senatore Terenzio Lucano, lo portò con sé a Roma e fu particolarmente colpito dalla sua intelligenza e dalla sua bellezza al punto da farlo erudire e infine liberarlo.
Iniziò a scrivere commedie ispirandosi al commediografo greco Menandro e a frequentare il Circolo degli Scipioni dove getterà le basi per il concetto di humanitas.
Questa frase è l’estrema sintesi dei valori che impregnarono le sue opere e che vennero poi ripresi dal Circolo degli Scipioni fino a divenire una delle virtù cardine del cittadino romano.
Già le basi di humanitas le si ritrovava in Menandro stesso in quella che i greci chiamavano filantropia, ma i toni erano molto più cupi e pessimistici.
La compassione e l’empatia degli uomini andavano a compensare soltanto la decadenza individualista delle polis. Un’empatia rassegnata, da attuarsi soltanto perché gli dèi non rispondono. Uno sforzo, insomma.
Terenzio, invece, lo rende un valore fondante e necessario nel riconoscimento dell’altro come proprio simile, con simili pregi e simili difetti, con limiti uguali.
Questo concetto sarà poi ripreso da Seneca e da Marco Aurelio, come rappresentanti dello stoicismo che riconosce tutti gli uomini come parte di un unico progetto universale e dunque destinati a collaborare e non a divorarsi l’un l’altro.
Dall’inizio del XXI secolo, con il cambio del paradigma sociale, la nostra società si è avviata verso un individualismo senza precedenti. La distruzione delle comunità registrata da Ferdinand Tönnies e la progressiva dissoluzione di ogni istituzione solida che fino ad oggi ha composto il collante tra gli individui, ha spinto questi ultimi ad isolarsi e ad assumere un atteggiamento sempre più individualista.
Mai più di ora l’uomo ha bisogno di humanitas da contrapporre allo sfruttamento estremo, alla mercificazione, al materialismo, alla realpolitik. Serve tornare alla comunità, ai rapporti interpersonali solidi e sicuri.
Il primo passo da compiere è non rinnegare la nostra natura umana.
Il mito del superuomo nietzschiano che permea la società è raggiungibile soltanto in due modi: attraverso la sopraffazione del più debole o essere parte di un organismo più grande. In tanti hanno percorso e intendono percorrere la prima strada, la più comoda, la più vile, la più primitiva. È arrivato il momento di scegliere la più civile.
Comunità
Chi ha avviato l’opera di liquefazione della società non ha fatto altro che accendere i riflettori su tutto il male che le antiche comunità esercitavano sull’individuo.
Regole rigide, spesso fondate su credenze tribali e superstizioni, imponevano punizioni atroci per chiunque osasse trasgredire: inquisizioni, persecuzioni, schiavitù di massa. Questo era il volto oscuro delle vecchie civiltà.
Dopo la pace di Vestfalia, Thomas Hobbes propose una soluzione drastica: gli individui avrebbero dovuto unirsi in un unico e mostruoso Leviatano, un’entità statale dai mille volti e un solo corpo, capace di schiacciare con la clava della burocrazia ogni piccola comunità, giudicata barbara e arretrata.
Poi arrivarono gli illuministi.
Grazie a loro uscimmo dall’oscurantismo religioso, ma, seppur in buona fede, iniziarono a minare le fondamenta della chiesa che, nel bene e nel male, fino ad allora aveva retto la società.
Il Leviatano statale colse l’occasione: si sostituì alla chiesa e si fece carico di garantire a tutti ciò che prima era prerogativa del potere religioso — istruzione, lavoro, sanità.
Ma con l’urbanizzazione e la nascita delle grandi masse, lo Stato iniziò a perdere il controllo.
Fu così che nacquero i regimi dittatoriali, ultimo, disperato tentativo di dominare una massa sempre più informe e ingestibile.
Come un contenitore sottoposto a pressioni troppo forti, quegli Stati esplosero, e ciò che rimase fu una moltitudine di individui dispersi, confusi, soggetti a trasformazioni profonde.
Il risultato è la società liquida in cui viviamo oggi.
Le vecchie comunità — la scuola, la famiglia, il vicinato, il quartiere, la città — hanno iniziato a starci strette.
Internet ci ha dato l’illusione di nuove comunità virtuali, ma si sono rivelate fragili, effimere, incapaci di sostituire i legami reali.
E allora, come uscirne?
Serve recuperare il senso di comunità autentica.
Tornare a vivere in mezzo agli altri, non dietro uno schermo.
Tornare a vivere come umani tra gli umani.
Ma per farlo, è necessario superare anche quelle stesse costrizioni che, in passato, portarono alla dissoluzione delle antiche comunità.
Occorrono nuove norme sociali, non oppressive ma presenti, capaci di fungere da collante, evitando i conflitti più di quanto riescano a fare le sole leggi giuridiche e i contratti.
Perché una società senza legami autentici è una società già sconfitta.
Etica di convivenza
Viviamo in un mondo dove ognuno si fa bastare sé stesso.
Ma è davvero libertà, se ci sentiamo soli, smarriti e disillusi?
Un vero ritorno alla comunità – non quella virtuale di chat e like, ma quella reale, fatta di sguardi, mani tese e parole autentiche – significa ricostruire connessioni profonde, creare insieme, non lottare l’uno contro l’altro.
Ma per farlo, serve una base: un’etica di convivenza, non imposta dall’alto, ma scelta perché funziona.
Non chiediamo obbedienza.
Chiediamo riflessione.
Se ognuno pensa solo a sé stesso, il più forte schiaccerà i più deboli.
E ricorda: prima o poi, anche tu sarai il più debole di qualcuno.
Per anni ci hanno imposto regole che puzzavano di controllo e ipocrisia.
Il risultato? Abbiamo finito per credere che ogni regola sia una trappola.
Ma esiste una grande differenza tra “obbedire” e “scegliere insieme delle regole per non distruggerci a vicenda”.
È in questo spirito che guardiamo ai valori di Roma, ai mores maiorum.
Non per nostalgia o rievocazione sterile, ma per recuperare il cuore pulsante di quei valori e trasformarli nel presente, come direbbe Hegel con il termine Aufhebung: non copiare il passato, ma superarlo e rinnovarlo.
I nostri valori fondanti
Fiducia (Fides)
Riscoprire la fiducia tra persone, cittadini e istituzioni è essenziale.
Dare fiducia è diventato un rischio che pochi vogliono correre, in una società dove la parola non ha più valore.
Eppure, la fiducia è anche una garanzia reciproca: tanto per chi la concede, quanto per chi la riceve.
Possiamo riprendere a parlare di fiducia in un mondo che esalta la competizione?
Sì, se la competizione smette di essere tra individui e diventa tra comunità contro chi si ostina a dividere.
Rispetto (Pietas)
Il rispetto, tra individui e tra questi e la comunità, è la base di ogni società sana.
Significa accettare l’altro, le sue idee politiche, religiose, le sue scelte, e mantenere rapporti sani con la famiglia, la comunità e lo Stato, fintanto che essi rispettano noi.
È il fondamento su cui si regge la fiducia.
Non si tratta di imporre o subire sottomissioni, ma di ritrovare un rispetto naturale e spontaneo.
Abbiamo superato il concetto romano di pietas legato alle divinità, ma possiamo riprenderlo come rispetto verso gli uomini, verso l’ignoto, verso l’universo ancora sconosciuto e verso il mondo che abitiamo.
Giustizia (Iustitia)
La giustizia non è solo un insieme di norme fredde e astratte.
È quel senso comune del giusto che permette di vivere in pace e onestà.
Significa saper distinguere cosa danneggia l’individuo e la collettività, e agire di conseguenza.
Non diamo priorità né all’individualismo né al collettivismo, ma valutiamo ogni situazione secondo un principio: sostenere l’individuo se si trova in svantaggio, e proteggere la comunità quando è minacciata.
***
Questi valori sono davvero applicabili senza cadere nella trappola degli interessi personali, dei favoritismi e dell’ipocrisia?
Lo scetticismo è comprensibile.
Ma se iniziamo a pensare alle nuove generazioni, se riusciamo a guardare oltre noi stessi e a riscoprire un obiettivo comune, allora sì: possiamo superare ogni ostacolo e, per una volta, agire controcorrente.
Tecnologia e lavoro
Come i nostri antenati, non rifiutiamo la tecnologia.
Anzi, crediamo che sia lo strumento con cui l’umanità può forgiarsi un futuro migliore.
Tuttavia, negli ultimi anni, si fanno sempre più strada visioni distorte in cui la tecnologia domina l’uomo, fino a fondervisi, creando un ibrido freddo e privo di emozioni.
Non sorprende che dietro queste idee si nascondano interessi economici, pronti a sacrificare il destino dell’essere umano in nome del profitto. A questa deriva ci opponiamo con forza.
Lo sviluppo tecnologico deve avanzare, ma l’uomo deve rimanerne l’artefice e il fine.
Intelligenze artificiali e nuove tecnologie devono essere strumenti al servizio dell’umanità, mai il contrario. Anche se un giorno le macchine arrivassero a manifestare un barlume di coscienza, resteranno comunque strumenti, non fini.
L’obiettivo ultimo dell’innovazione dev’essere la liberazione dell’uomo:
- dalla malattia,
- dalle difficoltà,
- e soprattutto dal lavoro come costrizione.
Il concetto di “libertà negativa” elaborato da Isaiah Berlin, inteso come liberazione dai vincoli imposti dalla necessità materiale, va riscoperto e riempito di un nuovo significato: la libertà di vivere con dignità, senza catene.
***
Noi crediamo che il lavoro debba essere un mezzo di realizzazione personale, non una forma di schiavitù imposta dal bisogno.
Per questo:
- Sosteniamo la crescita tecnologica che, tramite l’intelligenza artificiale e l’automazione, possa liberare l’uomo dai lavori più gravosi, garantendo un sistema di reddito universale per i bisogni fondamentali.
- Promuoviamo la formazione e lo sviluppo di economie cooperative, mutualistiche e partecipative (Parecon).
- Vogliamo che l’automazione sostenga l’intera comunità, senza penalizzare artigiani e artisti, custodi dell’espressione più autentica dell’animo umano.
- Chiediamo il riconoscimento delle attività formative, artistiche e culturali come piena realizzazione dell’essere umano, al pari del lavoro produttivo.
Il nostro scopo è chiaro: scoraggiare l’indolenza, ma valorizzare l’essere umano.
Non per produrre di più, ma per vivere meglio.
Restituiremo all’ozio il suo valore più nobile: quello di spazio fertile per la creazione, la riflessione e la crescita personale, così come accadeva a Roma.
Crediamo...
- …nel Nuovo Rinascimento;
- …nel dominio dell’uomo sulla tecnologia;
- …nel progresso scientifico orientato sui temi della salute, dell’energia, dell’erudizione e dell’esplorazione spaziale;
- …nello sviluppo di un nuovo modello di società, comunitario e improntato sulla fiducia;
- …nell’universalità;
- …nel rispetto per l’ambiente, per la terra e per l’universo;
- …nel rispetto verso ogni fede religiosa o credo politico, purché esercitati nel rispetto altrui;
- …nel rispetto verso gli esseri umani di qualsiasi sesso, etnia o nazionalità;
- …nella Giustizia pura, scevra da formalismi e dottrine;
- …nella coesione sociale;
- …nella libertà di pensiero e di parola;
- …nella crescita personale;
- …nella rinascita di uno Stato romano;
- …nell’arte, nella Storia, in tutte le discipline umanistiche;
- …nella concezione di lavoro come misura di arricchimento personale e sociale e non come una forma di sostentamento;
- …nelle correnti transumaniste che condividano questi valori;
Ci opponiamo fermamente...
- … a chi esalta le logiche di mercato, l’odio, la violenza, la sopraffazione;
- … a chi esaspera la competizione, ponendola come meccanismo di evoluzione: questo rimane valido fintanto che si parla di esseri non dotati di un pensiero evoluto come il nostro;
- … a chi confonde il coraggio e l’intraprendenza con l’arroganza;
- … a chi, per questo, compie qualsiasi atto di arroganza nelle azioni e nel pensiero, sia verso altri uomini, sia verso ciò che lo circonda;
- … a chiunque avversi l’umanesimo e l’uomo;
- … a un neopositivismo tossico e malsano che è disposto a qualsiasi cosa;
- … a politiche guerrafondaie senza fondamenti;
- … all’idea del superuomo e di ultimo uomo descritte da Nietzsche: infatti noi non ci rassegniamo all’idea di non poter migliorare, né ambiamo a diventare esseri superiori, ma prendiamo intanto coscienza di essere umani, con i relativi limiti e in quest’ottica guardiamo al futuro;
- … a tutte le narrazioni di paradisi futuri e paradisi attuali concessi dal denaro;
Identità
Perché proprio Roma e non qualcosa di completamente nuovo?
Perché Roma è stata un faro di civiltà per millenni.
Il concetto stesso di humanitas, e quindi di umanesimo, è indissolubilmente legato alla sua storia e alla sua eredità.
Roma è alla base delle società occidentali moderne, è un simbolo facilmente riconoscibile da un capo all’altro del mondo, e possiede ancora oggi un potenziale universale.
Ovunque esistono gruppi, artisti, studiosi e professionisti che si ispirano ai suoi valori e alla sua storia, come è accaduto nei secoli passati e — ci auguriamo — continuerà ad accadere.
Noi vogliamo riscoprire quei valori, andando oltre l’estetica e la semplice rievocazione storica.
Ma non rinunciamo a chiamare le cose con il loro nome.
Siamo ben consapevoli che i simboli e i nomi legati all’idea di Roma siano stati spesso considerati superati o, peggio, abusati da regimi del passato e anche da alcuni poteri attuali.
Avremmo potuto scegliere un nome diverso per queste idee.
Ma sarebbe stato come nascondere l’eredità che invece vogliamo rivendicare e rilanciare, senza imporla e senza escludere ciò che è nuovo.
La nostra identità — e sia chiaro, non si tratta di nazionalismo — si fonda proprio sul nome di Roma, nella sua doppia essenza:
- Fisica, legata alla sua storia e ai suoi luoghi.
- Ideale, come simbolo di valori universali senza tempo.
A questa identità si affianca l’acronimo S.P.Q.R., con l’auspicio che possa un giorno risorgere un’entità statale e comunitaria capace di abbracciare i valori di questo manifesto.
I simboli che accompagniamo a queste idee non sono semplici decorazioni, ma portano in sé un significato profondo e originale.
- L’Aquila imperiale, rivolta a destra e bicefala.
- La Lupa capitolina e i Gemelli Romolo e Remo.
- Il Leone, le Saette, il Manipolo.
Non li evochiamo per rievocare il passato, ma per restituire loro il significato autentico, quello di una civiltà che sapeva guardare lontano e abbracciare l’universalità.
Azione
Questo manifesto non è un semplice esercizio intellettuale o una dichiarazione di intenti. È una chiamata all’azione.
Non basta comprendere il declino o criticare le storture del presente. È necessario agire, costruire, proporre alternative concrete.
L’azione neoumanista romana si articola su più livelli:
- Culturale: Promuovere la riscoperta e la valorizzazione dell’eredità romana e dell’humanitas attraverso studi, dibattiti, eventi, produzioni artistiche e culturali. Creare spazi di confronto e di elaborazione di un pensiero critico e costruttivo.
- Sociale: Ricostruire il tessuto comunitario partendo dal basso, favorendo la nascita di gruppi di discussione, di iniziative locali e globali che mettano al centro la persona e i legami autentici. Sostenere progetti che promuovano l’etica di convivenza e i valori fondanti del manifesto.
- Educativo: Proporre modelli educativi che formino cittadini consapevoli, critici e responsabili, capaci di pensare con la propria testa e di agire per il bene comune. Trasmettere alle nuove generazioni i valori dell’humanitas e l’amore per la conoscenza.
- Tecnologico: Sostenere uno sviluppo tecnologico che sia al servizio dell’uomo e della comunità, promuovendo l’uso etico e consapevole delle nuove tecnologie e contrastando le derive disumanizzanti.
- Politico: Ripartire dall’idea di comunità significa in primo luogo riunire tutti gli individui che si identifichino nei nostri valori in uno o più comitia che abbiano lo scopo di rendere tutti partecipi con l’obiettivo ultimo di portare le istanze del neoumanesimo romano nelle sedi decisionali. Questo non significa necessariamente fondare un partito, ma influenzare il dibattito pubblico e le scelte politiche attraverso la forza delle idee e l’esempio concreto.
Il cammino è lungo e complesso, ma la direzione è chiara. Ogni piccolo gesto, ogni iniziativa, ogni persona che si riconosce in questi ideali e decide di agire, contribuisce a costruire quel faro di cui abbiamo bisogno.
Roma non è un sogno nostalgico, ma un progetto per il futuro. Un futuro in cui l’uomo possa tornare ad essere veramente umano.